IL DIRITTO DI CONTARE: DONNE, LAVORO ED EMANCIPAZIONE NEI FILM

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“Il femminismo non riguarda il rafforzamento delle donne. Le donne sono già forti, si tratta di cambiare il modo in cui il mondo percepisce quella forza”.

G.D. Anderson

Come e quante volte il cinema ha raccontato la storia dell’emancipazione della donna? Dal diritto al voto trattato in film come ‘Angeli d’acciaio’ (2014) di Katja von Garnier e ‘Suffragette’ (2015) di Sarah Gavron fino al recente ‘C’è ancora domani’ (2023) di Paola Cortellesi, che denuncia anche l’invisibilità e i maltrattamenti delle donne in ambito domestico, sono molte le pellicole che hanno messo in evidenza i numerosi cambiamenti della società avvenuti nell’ultimo secolo, denunciando disuguaglianze, pregiudizi e ingiustizie.

Un tema particolarmente rilevante è quello dell’indipendenza e del riscatto femminile attraverso il lavoro. Negli ultimi 100 anni, e in particolar modo dalla fine della seconda guerra mondiale, la società è stata investita da grandi cambiamenti. Tra questi, l’ingresso della donna nel mondo del lavoro, un complicato processo che presenta ancora oggi forti squilibri (disparità di salario, disparità di riconoscimento soprattutto ai livelli alti d’inquadramento). Se in Occidente sono stati fatti molti passi avanti, in alcuni Paesi del mondo alle donne viene ancora negata la possibilità di lavorare insieme ad altri diritti fondamentali.

Seguendo un excursus non esaustivo che attraversa i decenni a partire dalla metà del Novecento, cito alcuni film relativi a questo tema che ho trovato particolarmente interessanti.

‘Una giusta causa’ (2018) di Mimi Leder, in cui Felicity Jones interpreta la famosa avvocatessa e magistrata Ruth Bader Ginsburg (1933-2020), una delle pochissime donne che negli anni ’50 viene ammessa alla Harvard Law School e che all’inizio della sua carriera fatica a trovare lavoro presso uno studio legale.

‘Il diritto di contare’ (il titolo originale è ‘Hidden Figures’, 2016) di Theodore Melfi ripercorre la storia vera di tre donne afroamericane talentuose ma ‘invisibili’ -Mary Jackson, Katherine Johnson e Dorothy Vaughan- che all’inizio degli anni ’60 si ritrovano a lavorare alla NASA nel programma spaziale, in un contesto dove le decisioni sono prese dagli uomini e in una società dove vige ancora la segregazione razziale. Ad interpretarle Janelle Monae, Taraji Henson e Octavia Spencer.

‘We want sex’ (2010) di Nigel Cole racconta lo sciopero, avvenuto nel 1968, di 187 operaie alle macchine da cucire della Ford di Dagenham, East London. Costrette a lavorare in condizioni precarie per molte ore e sacrificando le loro vite familiari, le donne iniziano una protesta guidata da Rita O’Grady (Sally Hawkins).

‘Potiche-La bella statuina’ (2010) di François Ozon è ambientato negli anni ’70 in Francia. Catherine Deneuve veste i panni di Suzanne Michonneau, erede di una fabbrica di ombrelli che però viene gestita dal marito, presuntuoso e pieno di sé. Quando l’uomo ha un infarto, Suzanne prende le redini dell’azienda dimostrando di avere notevoli capacità.

‘North Country-Storia di Josey’ (2005) di Niki Caro ha per protagonista una giovane madre del Minnesota (interpretata da Charlize Theron) che alla fine degli anni ’80 è costretta a lavorare in una miniera ricevendo continue minacce e umiliazioni.

Inedito in Italia ed assai claustrofobico il film ‘The Assistant’ (2019) di Kitty Green con Julia Garner, che racconta la vicenda della segretaria di un produttore, vittima di molestie sul lavoro.

Infine tra i film italiani che trattano il tema della donna al lavoro, sono diventati ormai dei classici di genere ‘Tutta la vita davanti’ (2008) di Paolo Virzì, ‘Mi piace lavorare’ (2003) di Cristina Comencini e ‘7 minuti’ (2016) di Michele Placido.

 

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